Non può costituire oggetto di sindacato in sede di legittimità, la (presunta) ristrettezza dei tempi utilizzati per la valutazione dei candidati, che non può essere automaticamente considerata indice di superficiale considerazione “dei curricula e della produzione scientifica di pregevoli candidati”, soprattutto in un contesto in cui non si trattava di valutare prove d’esame, ma solo pubblicazioni ed attività di insegnamento e ricerca di tre soli candidati che svolgono peraltro la propria attività di ricerca in ambito relativamente ristretto e ben noto ai Commissari.
Nei concorsi universitari, la valutazione dei candidati comporta un’ampia area di insindacabilità del giudizio da parte del giudice amministrativo. Il giudizio della Commissione, infatti, è inteso a verificare il livello di maturità scientifica raggiunto dai singoli candidati e costituisce espressione di un’ampia discrezionalità tecnica riservata dalla legge al suddetto organo collegiale, le cui valutazioni, riflettendo specifiche competenze proprie dello stesso e richiedendo conoscenze di alto livello in complesse discipline cognitive, non possono essere sindacate nel merito dal giudice della legittimità, ma solo sotto l’eventuale profilo della ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalità, illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti”.
E’ legittimo lo strumento della valutazione “a corpo”, intesa in una prospettiva che guarda alla globalità della produzione scientifica e del valore del candidato e che esclude che il giudizio di sintesi della commissione possa essere ritenuto viziato solo per il fatto di non aver attribuito uno specifico peso ponderale a questo o a quell’elemento del curriculum scientifico del candidato.
Quando si censurano i giudizi degli altri candidati è necessario scrutinare le censure proposte dal ricorrente, secondo i principi della cd. prova di resistenza [nella fattispecie, importano l’onere, per il ricorrente, di contestare validamente la valutazione più lusinghiera riservata a tutti e due gli altri candidati; con tutta evidenza, la posizione di terzo in graduatoria (valutazione finale di “quasi buono”) impone, infatti, la necessità, per poter conseguire il bene della vita del superamento del concorso, di contestare validamente la posizione della seconda classificata (che ha conseguito la valutazione di “buono”) e del vincitore del concorso (cui è stata riservata la valutazione di “ottimo”)]. Ne deriva che dall’infondatezza delle censure nei confronti del secondo classificato discende che il ricorrente non abbia più interesse a contestare la posizione del primo classificato; infatti, l’eventuale accoglimento delle censure proposte avverso la valutazione del primo classificato non porterebbe, infatti, un qualche beneficio concreto al ricorrente, rimanendo comunque incontestata la posizione poziore della seconda classificata in graduatoria.