L’art. 18 della legge 30/12/2010 n. 240, nel demandare ai regolamenti universitari la disciplina della procedura di chiamata per il reclutamento dei professori di prima e seconda fascia, fissa vincoli penetranti all’autonomia regolamentare degli Atenei, prescrivendo inter alia il «rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori». La discrezionalità dell’Ateneo è ulteriormente vincolata al rispetto dei principi di concorsualità e trasparenza, aventi dignità costituzionale (art. 97 Cost.), in forza dei quali ciascuna fase progressiva della procedura selettiva deve mostrarsi funzionale unicamente alla scelta del candidato più meritevole.
Deve escludersi che il Consiglio di dipartimento possa esprimersi sul maggior merito scientifico di un candidato, giacché tale valutazione compete in via esclusiva alla Commissione esaminatrice, quale organo tecnico della procedura e che, individuato da parte della Commissione esaminatrice il candidato più meritevole, la chiamata a professore da parte del Dipartimento possa fondarsi su logiche spartitorie o di cooptazione. Nel reclutamento del personale docente, insomma, gli organi di Ateneo godono di margini di discrezionalità estremamente ristretti.
Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione proposta dal ricorrente, quando sussista un collegamento esclusivo e bilaterale tra l’approvazione della graduatoria concorsuale e la chiamata a professore del primo classificato, allorquando il Dipartimento non sia acceduto a valutazioni divergenti rispetto a quelle operate dalla Commissione valutatrice, non solo non è necessaria la formulazione di specifiche e autonome censure avverso gli atti con i quali il ricorrente è stato immesso in servizio quale professore di prima fascia, ma nemmeno è necessaria la loro diretta impugnazione, trattandosi di un vizio caducante l’intera procedura.
Il giudizio della Commissione chiamata a valutare l’idoneità a partecipare al concorso per divenire docente di prima o di seconda fascia universitaria, in quanto inteso a verificare e a misurare il livello di maturità scientifica raggiunto dai singoli candidati, costituisce valutazione tecnica, dunque espressione massima della c.d. discrezionalità tecnica dell’Amministrazione. Tale valutazione è pienamente sindacabile dal Giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, sia quello del corretto utilizzo delle regole tecniche.
È inammissibile ogni censura diretta a far valere la mancata valutazione di titoli ulteriori che la ricorrente afferma di possedere, giacché l’eventuale accoglimento della doglianza sarebbe priva di utilità per la ricorrente, avendo esaurito il punteggio a disposizione.
In sede di procedura selettiva per la scelta del personale docente universitario, se la valutazione si estrinseca nella mera attribuzione di un dato numerico (talvolta all’interno di un range ampissimo […] senza ulteriore scomposizione interna di punteggi), senza alcuna giustificazione a corredo, ad anzi con alcune e dirimenti scelte di metodo che non sono armoniche con le valutazioni in uso nella comunità scientifica di riferimento, resta del tutto incomprensibile quali siano stati gli “elementi oggetto di valutazione” e il perché». In questa prospettiva, costituisce figura sintomatica dell’eccesso di potere e denota un esercizio illegittimo della discrezionalità tecnica la scelta della Commissione esaminatrice di valutare i candidati sulla scorta di criteri che non sono coerenti con quelli più diffusi nella comunità scientifica di appartenenza e quindi valorizzare i pochissimi candidati, con l’attribuzione di punteggi numerici scanditi da range ampi senza corredo di giustificazione alcuna ricostruibile a posteriori.
Quanto invece all’interesse della ricorrente all’accoglimento dell’impugnazione (c.d. prova di resistenza), la ricorrente ha dedotto e comprovato che la riedizione degli atti della procedura, ancorché nei limiti di cui motivi di impugnazione accolti, è suscettibile in astratto di attribuirle un punteggio il più alto tra i candidati che hanno partecipato alla procedura.