Il candidato ad un concorso a pubblici impieghi, che si lamenti dei risultati di una procedura concorsuale (ma senza contestarne in radice la legittimità e mirarne al rifacimento), ha l’onere di dimostrare, mercé la c.d. “prova di resistenza”, l’effetto utile e concreto della contestazione della graduatoria e l’ottenimento del bene della vita, vale a dire la sua collocazione in posizione utile, onere, questo, cui pacificamente non soggiace chi fa valere vizi diretti ad ottenere l’annullamento e la successiva rinnovazione dell’intera procedura.
La salvaguardia delle fasi procedimentali antecedenti rispetto a quelle scandite dagli atti formalmente impugnati, così come la caducazione dell’intero procedimento, dipende dalla compatibilità con l’effetto conformativo scaturente dall’accoglimento del motivo di ricorso ritenuto fondato, occorrendo verificare se l’annullamento degli atti impugnati sia compatibile con la rinnovazione soltanto delle fasi procedimentali attinte dalla pronuncia caducatoria del giudice amministrativo o se implichi necessariamente la rinnovazione dell’intero procedimento in ragione della non attitudine degli atti amministrativi formalmente non attinti dalla pronuncia di annullamento a giustificare la mera prosecuzione delle conseguenti attività procedimentali interessate in ossequio al generale principio di salvezza degli atti non annullati. Il che implica una valutazione autonoma del giudice amministrativo, in quanto a lui riservata e non dipendente dalla volontà di colui il quale abbia agito in giudizio. L’effetto conformativo della sentenza amministrativa, infatti, è preordinato ad assicurare la piena tutela dell’interesse legittimo dedotto e ritenuto leso, ma rimane sottratto alla disponibilità della parte che ne lamenti la lesione, essendo le conseguenze dell’accoglimento delle domande di annullamento rimesse alla decisione del giudice amministrativo che, come noto, ha, infatti, il potere (tra l’altro) di modulare o escludere del tutto l’efficacia retroattiva connaturata alla caducazione degli atti amministrativi impugnati, purché sempre nell’ottica della migliore tutela dell’interesse del ricorrente.
La mancanza di una prova o di un principio di prova idoneo a dimostrare la non correttezza delle scelte effettuate dall’amministrazione, che non potrebbe fondarsi su soli profili quantitativi, esclude l’esistenza di un evidente errore legittimante un sindacato giurisdizionale su profili attinenti alla discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con conseguente infondatezza della doglianza.
I giudizi espressi dalle Commissioni giudicatrici dei concorsi universitari, essendo essenzialmente giudizi qualitativi sulle esperienze e sulla preparazione scientifica dei candidati ed attenendo all’ampia sfera della discrezionalità tecnica, sono censurabili esclusivamente sul piano della legittimità entro i noti limiti fissati dalla stessa giurisprudenza, senza poter sindacare profili di merito della valutazione della Commissione espressive della discrezionalità tecnica il Giudice di legittimità può rilevare profili di eccesso di potere ma gli è precluso sostituire le valutazioni opinabili della Commissione con le proprie, altrettanto opinabili.
L’atto di nomina della commissione non produce un effetto lesivo immediato, e comunque tale da determinare l’onere della immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale; infatti, la nomina dei componenti della commissione costituisce un atto meramente endoprocedimentale e può essere impugnata solo nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni concorsuali, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell’interessato.
La mancata ricusazione del componente della Commissione non preclude la proposizione in sede giurisdizionale della censura relativa alla dedotta violazione dell’obbligo di astensione; la configurazione in ambito sostanziale di un rimedio amministrativo azionabile dalla parte per censurare l’incompatibilità dei componenti di una Commissione valutatrice non può implicare, in caso di sua mancata attivazione, la decadenza dalla relativa impugnazione, radicandosi l’interesse al ricorso con l’adozione del provvedimento lesivo della sfera giuridica della parte coinvolta nell’esercizio del pubblico potere.
Una volta concluso il concorso e pubblicati gli atti, l’accertata illegittimità dell’atto di nomina della Commissione non consente la ripetizione delle sole operazioni concorsuali successive all’insediamento dei commissari illegittimamente nominati, poiché la conoscenza o conoscibilità dei nominativi dei concorrenti pregiudicherebbe alla Commissione di nuova nomina la possibilità di stabilire nuovi criteri in totale imparzialità e senza sospetti di eventuali decisioni volte ad avvantaggiare o svantaggiare un certo o altro candidato. Più precisamente, ogni Commissione può, in astratto, determinare propri criteri di valutazione, onde il regolamento ed il bando del concorso glielo consentano. Ma siffatta eventualità è in concreto preclusa quando vengano in rilievo esigenze di trasparenza e di par condicio tra i concorrenti pregiudicate dalle circostanze del caso, allorché i nominativi dei candidati siano già noti perché resi pubblici. Pertanto, qualora, come nella circostanza, i criteri elaborati dalla Commissione di prima nomina siano pubblicati insieme ai nominativi dei candidati, l’unica conseguenza dell’annullamento dell’atto di nomina dei commissari è la ripetizione dell’intera procedura concorsuale con pubblicazione di nuovo bando aperto anche a coloro i quali abbiano nelle more acquisito i richiesti requisiti di partecipazione, non potendosi imporre ad una Commissione di nuova nomina l’applicazione di criteri determinati da una precedente, a pena di violare l’autonomia e la discrezionalità tecnica dell’Università.
La lingua italiana è, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, per cui gli atti delle Pubbliche Amministrazioni tutte, ivi incluse le Università, devono essere redatti in lingua italiana; i commissari chiamati a valutare i candidati devono, pertanto, conoscere la lingua italiana. Tuttavia, il ricorrente, non solo non ha impugnato il decreto di nomina e la norma regolamentare che prevede che la Commissione sia formata anche da un docente straniero – nulla specificando sul grado di conoscenza minima della lingua italiana -, ma non ha neppure dimostrato che il docente straniero non conoscesse la lingua italiana.