Procedimenti di accesso alle carriere accademiche e principio di preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione dei titoli

Nota a Cons. Stato, sez. VII, sent. 2.5.2023, n. 4449 - Avv. M. Asaro

I professori universitari sono reclutati all’esito di pubblici “procedimenti di chiamata”, riservati a studiosi in possesso di elevati requisiti di professionalità, tra cui l’abilitazione scientifica nazionale, (v. art. 18 della l. 30/12/2010 n. 240 e smi), selezionati da una commissione composta da esperti del settore, chiamata a valutare il profilo scientifico del candidato emergente dalle pubblicazioni scientifiche, dal curriculum e dall’attività didattica svolta (Cons. Stato, sez. VI, sent. 10/11/2022, n. 9873). Per i ricercatori universitari la disciplina primaria risiede essenzialmente nell’art. 24 della medesima legge che, diversamente da quanto indicato nell’art. 18, conferisce ai tali procedimenti una espressa connotazione comparativa (v. anche d.m. 25/05/2011, n. 243). In ogni caso, trattasi di procedimenti amministrativi attratti dalla disciplina generale sul procedimento di cui alla l. 07/08/1990 n. 241e smi, anche quando posti in essere dalle università non statali (Cons. Stato, sez. VI, sent. 15/11/2021 n. 7573).

Per quanto attiene alle ulteriori fonti che disciplinano la materia, l’art. 29, comma 2, della citata legge n. 240/2010 ha attribuito alle università il potere-dovere di regolamentare le “procedure di chiamata”, stabilendo espressamente che “Le università continuano ad avvalersi delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di assunzione in servizio, fino alla adozione dei regolamenti di cui all’articolo 18, comma 1”. Conseguentemente, il d.P.R. 23/03/2000 n. 117 (che era un regolamento di delegificazione, adottato per effetto di quanto disposto dall’art. 1, comma 1, della l. 03/07/1998 n. 210) pur non essendo stato espunto dall’ordinamento giuridico è divenuto recessivo (ossia, ha perso di efficacia) per effetto dell’esercizio in subiecta materia del potere regolamentare da parte delle università, nell’ambito dell’autonomia regolamentare autorizzata dalla legge ordinaria (Cons. Stato, sez. VII, sent. 30/05/2022, n. 4398 nonché analogamente Cons. Stato, sez. VII, sent. 14/09/2022, n. 7973; TAR Lazio, Roma, sez. IIIter, sent. 17/03/2023, n. 4699; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, sent. 18/04/2023, n. 235). Le disposizioni legislative vigenti non contengono né le regole di formazione delle commissioni né quelle sullo svolgimento dei loro lavori; perciò, tale disciplina deve essere presente nei regolamenti universitari.

La sentenza in esame affronta, tra l’altro, l’operatività del principio di preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali da parte della commissione – applicabile anche ai concorsi universitari – che va inquadrato nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa, la quale postula che la determinazione e la verbalizzazione di detti criteri si svolgano in un momento in cui non possa sorgere il sospetto che essi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti (Cons. Stato, sez. VII, sent. 02/05/2023, n. 4378). Tale principio riguarda la specificazione applicativa delle regole di cui alla lex specialis, che consente alle commissioni di predeterminare i criteri di valutazione specifici per i vari titoli, ma prendendo in esame esclusivamente elementi e requisiti richiesti dal bando e cioè già presenti nella documentazione richiesta ai candidati e da questi prodotta; diversamente non si tratterebbe più di criteri di valutazione ma di requisiti ulteriori di valutazione, dei quali il candidato avrebbe dovuto conoscere preventivamente l’esistenza (TAR Lazio, Roma, sez. IIIter, sent. 26/03/2013, n. 3097). Peraltro, la giurisprudenza ha ammesso che siano il regolamento di ateneo e/o, per quanto consentito, il bando di concorso (non la commissione) a individuare dei criteri di valutazione che siano «altri» rispetto a quelli già previsti dalla norma statale, non nel senso di «diversi» o «sostitutivi», ma nel senso di «ulteriori» e «integrativi», al solo scopo di meglio adattare la scelta del candidato alle esigenze organizzative didattiche e scientifiche dell’ateneo (Cons. Stato, sez. VII, sent. 29/05/2023, n. 5245). La fissazione di criteri di valutazione il più possibile chiari, oggettivi e trasparenti è uno degli aspetti più importanti delle procedure di reclutamento dei professori universitari (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 17/05/2022, n. 3856), perciò la commissione non può neppure introdurre requisiti e standard irragionevoli o sconosciuti (né arbitrari né discriminatori); nel silenzio della norma regolamentare di ateneo, la commissione deve comunque attingere a criteri di valutazione ragionevoli, noti e accettati, a cominciare da quelli dettati dalla normativa vigente (TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 12/04/2023 e giurisprudenza richiamata).

Passando alla liturgia procedimentale, la commissione, nella prima riunione, è tenuta a definire i criteri di valutazione e dei punteggi da attribuire prima di avere preso visione dell’elenco dei candidati, proprio per evitare qualsivoglia indebita influenza sull’attività preliminare dei commissari destinata a orientare le loro successive decisioni. Pertanto, la conoscenza dei nominativi dei candidati avvenuta aliunde da parte dei commissari potrebbe inficiare la serenità non solo della fissazione dei criteri, ma pure della loro concreta applicazione, in quanto i commissari, essendo gli esperti del settore concorsuale ed essendo chiamati a giudicare l’idoneità scientifica di un ristretto numero di studiosi i cui scritti per lo più sono già loro noti, non godrebbero dell’imparzialità valutativa che la funzione impone loro (Cons. Stato sez. VI, sent. 08/10/2021, n. 6726).

Secondo un orientamento generale del Consiglio di Stato, è necessario procedere  alla nomina di una nuova commissione (con conservazione del concorso) quando, ad esempio, l’operato della precedente sia stato oggetto (per due volte) di annullamento giudiziale, per cui si rende necessaria, anche sul piano conformativo in vista della riedizione del potere, la nomina di una nuova commissione proprio al fine di garantire una valutazione dei candidati indipendente e incondizionata da precedenti conoscenze e valutazioni dei curricula, dei titoli, delle pubblicazioni e delle prove pratiche dei concorrenti (Cons. Stato, sez. VI, sent. 09/01/2023, n. 224 e giurisprudenza richiamata).

La conclusione cui giunge il Consiglio di Stato nella sentenza in esame stabilisce il limite secondo cui il descritto potere-dovere della commissione di determinare propri criteri di valutazione resta precluso quando vengano in rilievo esigenze di trasparenza e di par condicio tra i concorrenti pregiudicate dalle circostanze del caso, quali la pubblicazione dell’elenco candidati sulle pagine di amministrazione trasparente, avvenuta prima della nomina della nuova commissione (v. anche Cons. Stato, sez. VII, sent. 30/06/2023, n. 6414). In tale evenienza, dunque, non possono adottarsi soluzioni conservative del concorso, perciò la conseguenza «è la ripetizione dell’intera procedura concorsuale con pubblicazione di nuovo bando aperto anche a coloro i quali abbiano nelle more acquisito i richiesti requisiti di partecipazione, non potendosi imporre ad una Commissione di nuova nomina l’applicazione di criteri determinati da una precedente, a pena di violare l’autonomia e la discrezionalità tecnica dell’Università».

 

Massimo Asaro, Dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale, Università di Roma “La Sapienza”; Primo tecnologo ente pubblico di ricerca, Avvocato.

 

La sentenza Cons. Stato, sez. VII, sent. 02/05/2023, n. 4449

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