È insussistente nel quadro giuridico in cui si muove l’Università di Trento un vincolo discendente dal rispetto di tutte le norme di dettaglio della legge statale di riforma della materia dovendo il regolamento di Ateneo sul reclutamento conformarsi ai soli “principi fondamentali delle leggi statali in materia”.
Le modalità di svolgimento delle procedure di valutazione comparativa dell’Ateneo devono ritenersi pienamente rispondenti ai principi fondamentali recati dalla legge Gelmini, principi che si riconducono alla necessità di assicurare la selezione dei ricercatori secondo una procedura comparativa trasparente che garantisca una valutazione effettuata secondo parametri oggettivi da parte di una commissione valutatrice imparziale e competente.
La previsione di un motivato giudizio analitico, anziché di un punteggio numerico, contenuta nel regolamento dell’Università degli studi di Trento per il reclutamento e la progressione di carriera di professori e ricercatori, è coerente con i principi fondamentali della legge n. 240 del 2010.
Le operazioni valutative della Commissione valutatrice sono caratterizzate dall’esercizio di discrezionalità tecnica, il che delimita il sindacato spettante al Giudice amministrativo.
La valutazione comparativa che costituisce l’esito finale della valutazione della Commissione consiste in un raffronto globale e complessivo della capacità dei candidati e non impone che ogni singolo giudizio debba riportare una specifica valutazione comparativa
Deve essere rigettato il ricorso che impugni il motivato e diffuso giudizio operato su titoli, curricula e produzione scientifica dei candidati, in sede di valutazione preliminare, quando non siano presenti quegli elementi sintomatici del vizio di eccesso di potere lamentati dalla parte ricorrente, quali l’irragionevolezza, l’irrazionalità, l’arbitrarietà o l’inattendibilità delle valutazioni, il difetto di motivazione o di istruttoria immediatamente rilevabili, sui quali, solo, può estendersi lo scrutinio del Giudice amministrativo.
Non comporta l’obbligo di astensione di un componente della Commissione la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere, tenuto conto che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica che risponde alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca; non costituisce, quindi, ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale mentre l’obbligo di astensione sorge nella sola ipotesi di comunanza d’interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il commissario. L’obbligo di astensione invece sussiste quando l’intensità della collaborazione sia stata tale da far desumere che non vi è stata una valutazione indipendente dello stesso candidato.
La censura che riposa sul carattere “sartoriale” della selezione su un candidato ben preciso è smentita sia dal lungo iter attraverso il quale l’Università è giunta all’indizione della procedura, iter che coinvolge più organi della Amministrazione, sia dal fatto che l’iter stesso è stato avviato allorquando detto candidato non aveva ancora i requisiti per partecipare alla procedura.
L’attribuzione della chiamata alla competenza del Consiglio dipartimentale rientra anch’essa nell’autonomia regolamentare dell’Ateneo; ciò trova conferma nella novella introdotta nell’articolo 24, comma 2, della legge n. 240 del 2010 che, rinviando all’Università la determinazione definitiva in ordine alla chiamata, prevede anche per gli altri atenei italiani la possibilità di individuare, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, l’organo competente in materia, purché diverso dalla Commissione valutatrice.