In materia di concorsi pubblici, le valutazioni della commissione esaminatrice sono espressione di un’ampia e qualificata discrezionalità tecnica, il cui concreto esercizio è soggetto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo solo se viziato da travisamento dei fatti, violazione delle regole di
procedura, illogicità manifesta con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab
externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti.
Nel formulare il giudizio tecnico sui titoli o sulle pubblicazioni l’Amministrazione è chiamata ad applicare regole elastiche ed opinabili, contrassegnate da un fisiologico margine di opinabilità (c.d. concetti giuridici indeterminati): invero, nell’attribuire i punteggi l’Amministrazione non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco, ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità.
È infondato il motivo di ricorso a mezzo del quale parte ricorrente, deducendo la violazione dell’art. 76 del D.P.R. 455/2000, sostiene che, in conseguenza di una dichiarazione mendace, la controinteressata doveva essere esclusa dalla procedura; al riguardo è sufficiente osservare che anche a voler ritenere sussistente una dichiarazione mendace alla stessa conseguirebbe “l’eliminazione” di ogni effetto derivante dal titolo falsamente attestato (quindi l’azzeramento del punteggio per il titolo in questione), non anche l’esclusione o la decadenza dalla procedura.