La prova di resistenza assume rilevanza unicamente rispetto alle censure sorrette dal cd. interesse finale a vincere la competizione, per le quali il vantaggio prospettato non potrebbe essere ottenuto se, pur a fronte della fondatezza delle doglianze, il ricorrente comunque non riuscirebbe a collocarsi utilmente nella graduatoria concorsuale. Qualora, invece, vengano allegati vizi radicali della procedura selettiva o di fasi di questa, è la stessa natura del vizio demolitorio a non richiedere una prova di resistenza, non potendosi escludere che le risultanze della procedura scaturenti da una diversa valutazione ad esito libero possano rivelarsi favorevoli per il ricorrente.
Il ricorrente è carente di interesse, rimanendo insoddisfatta la prova di resistenza nel caso in cui, pur nell’ipotesi di fondatezza della censura, il ricorrente sarebbe comunque preceduto in graduatoria da altri canditati, rispetto ai quali non ha mosso alcuna contestazione al giudizio valutativo della commissione.
L’omesso deposito in giudizio della prova della notifica del ricorso e dei motivi aggiunti alla terza classificata non inficia l’ammissibilità delle doglianze, la suddetta non essendo in posizione di controinteresse, bensì di cointeresse, rispetto all’eventuale riedizione della procedura.
La Commissione non deve svolgere la valutazione analitica, con l’attribuzione di un punteggio ad hoc, della complessiva consistenza, intensità e continuità della produzione scientifica dei candidati, in quanto, la norma non prevede che la valutazione della consistenza complessiva della produzione scientifica del candidato, nonché della sua intensità e continuità temporale, abbia carattere “analitico”, nel senso che sfoci nell’attribuzione di uno specifico punteggio numerico, bensì richiede che si pervenga ad una valutazione complessiva della produzione scientifica dei candidati. La valutazione della commissione sulla complessiva produzione scientifica dei candidati non può essere considerata il frutto di mere operazioni matematiche, sicché non ha pregio il tentativo del ricorrente di quantificare numericamente i fattori della consistenza, della intensità e della continuità al fine di auto-attribuirsi – oltretutto al di fuori di qualsivoglia predeterminazione di indici valutativi ad opera della commissione e, comunque, in mancanza della prova di resistenza rispetto ai restanti canditati che lo precedono in graduatoria – un punteggio superiore a quello della vincitrice. Stante la complessità e la globalità della valutazione comparativa dei candidati alla posizione di ricercatori universitari, le commissioni concorsuali non sono tenute a quantificare matematicamente il peso dei parametri e, di riflesso, tantomeno sono tenute a scomporre i parametri in sotto-punteggi numerici.
Quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che ne è impedita la successiva disapplicazione e che la violazione dell’autovincolo determina l’illegittimità delle susseguenti determinazioni; l’autovincolo costituisce un limite al successivo esercizio della discrezionalità, che l’amministrazione pone a se medesima in forza di una determinazione frutto dello stesso potere che si appresta ad esercitare, e che si traduce nell’individuazione anticipata di criteri e modalità, in guisa da evitare che la complessità e rilevanza degli interessi possa, in fase decisionale, complice l’ampia e impregiudicata discrezionalità, favorire in executivis l’utilizzo di criteri decisionali non imparziali; la garanzia dell’autovincolo, nelle procedure concorsuali, è fondamentalmente finalizzata alla par condicio: conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite, mette in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti.
Non è possibile valorizzare la produzione documentale fornita dall’Università nel corso del giudizio, giacché essa contiene atti privi di qualsivoglia collegamento formale ai lavori della commissione, trattandosi di documenti non sottoscritti e neppure datati, sicché è impedito apprezzarne la paternità e rimane incerta, altresì, la effettiva anteriorità della loro formazione rispetto alla conclusione della procedura.