Se l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica italiana, gli atti delle pubbliche amministrazioni tutte, incluse le Università, devono essere redatti in lingua italiana e ciò non può non valere, specularmente, anche per gli atti e i documenti presentati dai candidati per la partecipazione alla procedura selettiva dell’Università, eccezion fatta per le pubblicazioni, di cui ora in breve si dirà. Da quanto osservato discende che i candidati non potevano presentare curricula in lingue diverse dall’italiano o comunque, se stranieri, non tradotti in italiano e ciò vale tanto più nel caso di specie, ove si trattava di una candidata italiana.
L’italiano è lingua della procedura selettiva oggetto di causa e l’utilizzo della lingua italiana è, senza dubbio, espressione di un principio immanente all’ordinamento, non passibile di deroga, se non espressamente prevista, nemmeno in ragione del fatto che, come sostengono le appellanti, «la ricerca e l’insegnamento universitario sono caratterizzati dalla circolazione delle competenze oltre i confini nazionali» e sarebbero tali da rendere «l’ordinamento universitario maggiormente improntato alla internazionalizzazione delle competenze e delle procedure».
Il “rafforzamento dell’internazionalizzazione”, al quale si richiamano le appellanti invocando varie norme a supporto della tesi sostenuta, non è invero sufficiente a superare non solo il principio dell’ufficialità della lingua italiana, ricavabile a contrario dall’art. 6 della Costituzione (“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”), ma nemmeno il chiaro disposto dell’art. 1, comma 1, della l. n. 482 del 1999 che ha dato attuazione a tali esigenze di tutela, a mente del quale «la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano».
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 42 del 24 febbraio 2017, ha richiamato l’esigenza di non relegare l’italiano ad un ruolo di marginalità e ha evidenziato che la centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana «si coglie particolarmente nella scuola e nelle università, le quali, nell’ambito dell’ordinamento “unitario” della pubblica istruzione (sentenza n. 383 del 1998), sono i luoghi istituzionalmente deputati alla trasmissione della conoscenza “nei vari rami del sapere” (sentenza n. 7 del 1967) e alla formazione della persona e del cittadino»
Non puo’ darsi luogo al soccorso istruttorio per il principio di autoresponsabilità che grava sui candidati a fronte di un obbligo così chiaro e, si vorrebbe dire, connaturale alla partecipazione ad una procedura selettiva bandita da un Ateneo italiano e, cioè, quello di presentare la domanda e i relativi allegati in italiano, anche in una prospettiva, sicuramente auspicabile, di deciso rafforzamento dell’internalizzazione, che non sminuisce né certo contraddice, ma anzi rafforza il fondamentale obbligo di sottoporre alla valutazione della Commissione di un’Università italiana un curriculum in italiano.