L’ottenimento da parte dell’appellante, nelle more del giudizio, di un incarico di prima fascia presso altro Ateneo è irrilevante ai fini della procedibilità del giudizio, perché non fa venire meno il suo interesse all’appello e tale circostanza è altresì irrilevante ai fini della valutazione della fondatezza dell’appello.
Le valutazioni soggettive volte non già a far emergere errori di fatto o di valutazione della Commissione esaminatrice, ma a dare rilievo a una diversa valutazione “di merito” dei titoli, sono del tutto irrilevanti e la relativa censura cosi formulata è da reputarsi inammissibile. L’esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione è senz’altro sindacabile da parte del giudice amministrativo, ma tale sindacato presuppone che il ricorrente assolva il suo onere di fornire la prova o quantomeno un principio di prova circa la non correttezza delle valutazioni effettuate in sede amministrativa e non si limiti a sovrapporre (o a chiedere al giudice di sovrapporre) una propria valutazione a quella dell’Amministrazione.
La tesi del ricorrente secondo cui i convegni avrebbero ex se uno status scientificamente inferiore a quello delle riviste è una valutazione di merito che, senza evidenziare alcuna illogicità nel percorso logico della Commissione, tende a sovrapporre ai giudizi di questa le valutazioni soggettive del ricorrente, senza essere neppure corretta dal punto di vista scientifico.
Sono inammissibili le censure che tendono a sconfinare nel merito delle valutazioni della Commissione di concorso, ovvero mirano a far sì che il Giudice si sostituisca alla Commissione nell’operazione di valutazione dei candidati. Invero, è insegnamento della giurisprudenza consolidata che le valutazioni della Commissione giudicatrici, le quali sono espressione di discrezionalità tecnica, sono sindacabili se affette dai vizi di illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento